“Ciò che è irritante circa l’amore è che si tratta di un crimine in cui abbiamo bisogno di un complice” (Charles Baudelaire)
Il 2020 è agli sgoccioli e ciascuno di noi, io credo, lo vuole dimenticare al più presto.
Un anno pesante, doloroso, opprimente, pieno di paure, di lacrime, di chiusure d’aziende, di precarietà diffuse, d’instabilità familiari, di compressione dei redditi, di lontananza degli affetti e di tant’altro ancora.
Ma l’amore, nella più ampia accezione del termine, pur nelle tante limitazioni c’è ancora, motore insostituibile del sopravvivere, del vivere, dello sperare nel futuro prossimo della nostra esistenza.
Ed all’anno nascente, ed a Voi tutti, amici lettori, dedico una poesia dell’amore più classico. Una poesia scritta da un anonimo tzigano per la sua donna, il suo grande amore al quale garantisce attraverso lo scorrere dei mesi l’incessante fluire dei suoi sentimenti, del suo Amore.
Anonimo tzigano
banzai43
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COCOTTE
(Guido Gozzano)
I
Ho rivisto il giardino, il giardinetto
contiguo, le palme del viale,
la cancellata rozza dalla quale
mi protese la mano ed il confetto…
II
.«Piccolino, che fai solo soletto?»
«Sto giocando al Diluvio Universale.»
Accennai gli stromenti, le bizzarre
cose che modellavo nella sabbia,
ed ella si chinò come chi abbia
fretta d’un bacio e fretta di ritrarre
la bocca, e mi baciò di tra le sbarre
come si bacia un uccellino in gabbia.
Sempre ch’io viva rivedrò l’incanto
di quel suo volto tra le sbarre quadre!
La nuca mi serrò con mani ladre;
ed io stupivo di vedermi accanto
al viso, quella bocca tanto, tanto
diversa dalla bocca di mia Madre!
«Piccolino, ti piaccio che mi guardi?
Sei qui pei bagni? Ed affittate là?»
«Sì… vedi la mia mamma e il mio Papà?»
Subito mi lasciò, con negli sguardi
un vano sogno (ricordai più tardi)
un vano sogno di maternità…
«Una cocotte!…»
………………….«Che vuol dire, mammina?»
«Vuol dire una cattiva signorina:
non bisogna parlare alla vicina!»
Co-co-tte… La strana voce parigina
dava alla mia fantasia bambina
un senso buffo d’ovo e di gallina …
Pensavo deità favoleggiate:
i naviganti e l’Isole Felici…
Co-co-tte… le fate intese a malefici
con cibi e con bevande affatturate…
Fate saranno, chi sa quali fate,
e in chi sa quali tenebrosi offici!
III
.Un giorno – giorni dopo – mi chiamò
tra le sbarre fiorite di verbene:
«O piccolino, non mi vuoi più bene!…»
«è vero che tu sei una cocotte?»
Perdutamente rise… E mi baciò
con le pupille di tristezza piene. (more…)
Buondì amici,
forse taluni di Voi avranno già letto le riflessioni che seguono. A me le ha girate un amico romano via WhatsApp. Le ha scritte, così mi vien detto, una psicologa di nome Francesca Morelli sino a ieri a me sconosciuta.
Ciò che scrive è interessante e ne faccio dono a tutti Voi. I tempi attuali sono quelli che sono, le nostre vite e quelle delle persone a cui vogliamo bene stanno sperimentando fastidiose, timorose, pericolose novità a cui adeguarsi è difficile, pesante, fastidioso. Ma è la realtà attuale a cui è d’obbligo partecipare. Ribellarsi è inutile e dannoso ad un tempo per la comunità e per noi stessi. Collaboriamo, quindi, e aiutiamoci l’un l’altro pensando come poter orientare il nostro futuro.
Un abbraccio a Voi tutti. Su con la vita!
…..banzai43
EccoVi il testo promesso.
In un momento storico in cui certe ideologie e politiche discriminatorie, con forti richiami ad un passato meschino, si stanno riattivando in tutto il mondo, arriva un virus che ci fa sperimentare che, in un attimo, possiamo diventare i discriminati, i segregati, quelli bloccati alla frontiera, quelli che portano le malattie. Anche se non ne abbiamo colpa. Anche se siamo bianchi, occidentali e viaggiamo in business class.
In una società fondata sulla produttività e sul consumo, in cui tutti corriamo 14 ore al giorno dietro a non si sa bene cosa, senza sabati nè domeniche, senza più rossi del calendario, da un momento all’altro, arriva lo stop.
Fermi, a casa, giorni e giorni. A fare i conti con un tempo di cui abbiamo perso il valore, se non è misurabile in compenso, in denaro.
Sappiamo ancora cosa farcene?
In una fase in cui la crescita dei propri figli è, per forza di cose, delegata spesso a figure ed istituzioni altre, il virus chiude le scuole e costringe a trovare soluzioni alternative, a rimettere insieme mamme e papà con i propri bimbi. Ci costringe a rifare famiglia.
In una dimensione in cui le relazioni, la comunicazione, la socialità sono giocate prevalentemente nel “non-spazio” del virtuale, del social network, dandoci l’illusione della vicinanza, il virus ci toglie quella vera di vicinanza, quella reale: che nessuno si tocchi, niente baci, niente abbracci, a distanza, nel freddo del non-contatto.
Quanto abbiamo dato per scontato questi gesti ed il loro significato?
In una fase sociale in cui pensare al proprio orto è diventata la regola, il virus ci manda un messaggio chiaro: l’unico modo per uscirne è la reciprocità, il senso di appartenenza, la comunità, il sentire di essere parte di qualcosa di più grande di cui prendersi cura e che si può prendere cura di noi. La responsabilità condivisa, il sentire che dalle tue azioni dipendono le sorti non solo tue, ma di tutti quelli che ti circondano. E che tu dipendi da loro.
Allora, se smettiamo di fare la caccia alle streghe, di domandarci di chi è la colpa o perché è accaduto tutto questo, ma ci domandiamo cosa possiamo imparare da questo, credo che abbiamo tutti molto su cui riflettere ed impegnarci.
Perchè col cosmo e le sue leggi, evidentemente, siamo in debito spinto.
Ce lo sta spiegando il virus, a caro prezzo.”
(F. MORELLI)