Dei luoghi dell’anima, della maturità, dell’amicizia
Sin da bambino mi sono dichiarato mezzo milanese (per padre) e mezzo trentino (da parte di madre). E quest’oggi vi parlerò del mio rapporto col Trentino e con l’amicizia. Legami forti che l’assenza, la lontananza dai luoghi, i tanti anni trascorsi non sono riuscit
i a sfumare o rendere meno intensi.
Finito l’anno scolastico, bambino, la mamma mi portava dalla nonna. Niente automobile, allora. Si partiva la notte dalla Stazione Centrale di Milano, destinazione Trento. Arrivati di primo mattino, dopo una veloce colazione al bar via di corsa alla stazione delle corriere per inerpicarsi, motore sbuffante, verso Castello Tesino, 940 m. sul mare, a casa della nonna, a due passi dal monte Celado e dal più noto passo del Brocon (1.616 metri).
Già il solo giungere a Trento era per me una forte emozione. L’aria frizzante del prima mattino, profumata e leggera e le montagne sullo sfondo, come un mezzo anfiteatro, mi davano un nuovo benvenuto. E mi inebriava il pensiero che di lì a poco sarei stato ancora più su, dalla nonna, a “Castello”, dove avrei ritrovato gli amici di sempre (Dante, Sergio, Firmino, Norma, Bruno …) che, allertati dalla nonna, mi avrebbero accolto sorridenti non come il “milanese” che arrivava in campagna, ma il “castelazzo” (abitante di Castello) che tornava al paese, che tornava a casa.
Con gli amici, dopo aver raccontato e raccolto le piccole novità, riprendevo i
giochi soliti e quelli di più recente sperimentazione maturati nel corso della reciproca lontananza. Ma il lungo periodo della separazione sembrava svanito. Tutto veniva “ripreso” come se vi fosse stata un’interruzione il giorno prima. Il tempo, che s’era fermato, riprendeva ora a scorrere, d’incanto, là dove s’era fermato tanto tanto tempo prima.
Ripartita la mamma qualche giorno dopo l’arrivo, staccavo con l’italiano per parlare il dialetto e cercavo di sfuggire agli scappellotti dello zio Carlo, il genietto della famiglia (imbianchino, pittore, scultore nel legno, musicista, compositore ecc. ecc.), il più giovane fratello di mia madre che tentava di frenare le mie tante marachelle che la nonna non riusciva a contrastare.
Da parte mia celebravo, giornalmente, la festa della libertà, dell’ apprendistato, per diventare, gioiosamente, un uomo libero.
Libero nelle scelte, convinto dell’amicizia e dell’eternità dell’amore, del diritto a godere della natura e della bellezza, della pioggia subitanea, della voce del ruscello, dell’intrico del bosco, del rintocco delle campane, del sibilare del vento, delle nuvole in cielo, della luce e delle tenebre, delle feste e dei balli paesani. Tutto era insegnamento, tutto era gioco.
E così passai, stagione dopo stagione, dalla fanciullezza alla giovinezza, ai primi amori, alle prime pulsioni e dubbi e tormenti. Ho vivo il ricordo del rossetto scarlatto su giovanissime labbra, delle prime impacciate carezze ad un corpo femminile, dei primi dolorosi addii. E che dire delle lunghe serate a ballare con i dischi del juke box (i soldi raccolti fra i villeggianti, anch’essi alla ricerca di un momento di svago)?
Scherzi della memoria: le gite nei boschi a raccogliere ciclamini e mirtilli e fragoline; la posa, nell’intrico degli alberi, attorno a polle d’acqua, di bacchette di vischio per la cattura di uccellini per la polenta, la ricerca dei funghi con la nonna, le levatacce per incontrare gli amici in piazza, di primissimo mattino, maglioni e giacche a vento addosso, ad aspettare, tutti assieme, il camion-cisterna che, vuoto, andava a ritirare il latte nelle malghe e ci avrebbe dato un passaggio sino in alta montagna: colazione al sacco e ritorno a piedi. E giochi, scherzi e risate a non finire.
Milano, peraltro, non era dimenticata. Il passaggio di un’auto targata MI (rare allora) faceva scattare, immediatamente, la nostalgia della famiglia e della città lontana. Gli occhi umidi, allora, intonavo a mezza voce una canzone milanese e la tristezza, che aveva fatto capolino, passava.
Molto giovane ho iniziato a lavorare. Lavorare e studiare, sino all’Università, sino alla laurea. Poi matrimonio, carriera, figli, ferie. Pochi i ritorni in Trentino, tutti per dovere: la morte della nonna, dello zio Carlo ed in ultimo di sua moglie. Gli amici emigrati chi in Svizzera, chi in Germania, chi a studiare in altre parti d’Italia. Per oltre trent’anni il Trentino m’ha chiamato, senza avere risposta. Ne sentivo la voce, provavo il desiderio di tornare, ma non mi decidevo a farlo benché provassi un tormento d’animo. Forse avevo paura di confrontarmi con i ricordi, di vedere assai piccolo ciò che da ragazzo credevo grande e possente. Non so dire perché. Non sono riuscito a darmi una spiegazione.
Anni su anni, ai primi d’ottobre 2010, sentii che non potevo più attendere. Il richiamo di quelle montagne si faceva imperioso, pressante, necessario, non
procrastinabile. Informai mia moglie, mi misi al volante e partii.
Guidavo canticchiando canzoni di montagna. Superata la Lombardia e il Veneto entrai nel Trentino in una mattinata uggiosa e sentii, immediatamente, una scossa, il cuore sollevato, un’ondata di ricordi, un poco d’emozione, l’anima in pace. Ero tornato. Per festeggiare intonai l’Inno del Trentino.
Le strade non erano più quelle d’un tempo. Quella da Trento verso la Valsugana, stretta e tortuosa nei miei ricordi, s’era trasformata in una superstrada che lambiva i paesi senza più attraversarli. D’un tratto una deviazione a sinistra, verso il paese di Villa Agnedo mi ridiede la strada d’un tempo che conduceva, stretta e ripida, verso il cielo: Tomaselli, Bieno, Strigno, Pieve Tesino (dove nacque De Gasperi), la breve discesa verso il torrente Grigno ed un ultimo strappo. Eccomi a Castel Tesino, in Crosara (la piazza principale con la chiesa di S. Giorgio) e poi all’albergo Alpina a depositare i bagagli e salutare Maria e Mario, i proprietari. Una veloce rinfrescata e poi al cimitero alla tomba di famiglia a portare due fiori.
Un paio di notti lassù, fredde e stellate. Le giornate a ricercare i luoghi dell’infanzia, a scoprirne i cambiamenti, a chiedere di amici persi e non più ritrovati, qualcuno morto anzitempo, altri scomparsi nel nulla. Poi, l’ultimo giorno prima del ritorno a Milano con patate per gnocchi e mele profumate, quasi casualmente, il recupero d’un numero di cellulare d’un carissimo amico, Sergio, che sapevo partito, giovane assai, per il Piemonte.
Lo contattai tornato a Milano. In pensione anche lui, Sposato con Bice, un figlio e due nipotine. Ci si promise di vederci, ma per circa tre anni ci scambiammo solo qualche telefonata. Quest’anno, però, è stato diverso. Ad Agosto nel corso d’una telefonata mi disse che era al paese con la moglie e ci sarebbe rimasto, nella sua casa, sino alla metà di Settembre.
Decisi allora di tornare a Castello per ritrovarlo e lo feci. Con una certa emozione ci rivedemmo dopo circa 53 anni e per me fu come fossero trascorsi pochi giorni. Certo eravamo cambiati, ma ci riconoscemmo immediatamente. Io per il suo volto squadrato e la voce, lui -così disse- per la mia solita camminata. E giù chiacchiere a riempire il vuoto del tempo trascorso. Piacevolissima e gentile la moglie, alta e magra. Con loro ho passato un paio di giorni molto gradevoli, un pranzo in alta quota, la visita ad un osservatorio astronomico e ad un museo montano di fiori, frutti, animali ed altro.
Ritrovare Sergio è stato, per me, molto bello. Da adolescenti gli ero molto legato e rivederlo m’ha fatto bene al cuore. Suo tramite ho scoperto l’abitazione di Norma, altra amica d’infanzia che non vedevo, da circa 55 anni. Sposata con Gianni, figlio di Italia, una cara amica di mia madre. Mi sono presentato dicendo: “Sei Norma?” Di primo acchito non m’ha riconosciuto. Poi è stata una piccola festa, un nuovo flusso di ricordi e la promessa di non perderci nuovamente di vista. Da parte sua l’impegno di salutarmi il fratello Firmino, ora architetto, anch’esso compagno di giochi ed amico nel mio passato.
Per il resto, al paese come al solito per pochi giorni, ho fatto le cose usuali: due scappate in alta montagna, la riscoperta di stretti passaggi fra le case (i cosiddetti “boali”), la passeggiata notturna per le strade illuminate dalle lampade. Tutto sommato niente di che, solo un tuffo nei ricordi più cari.
Sulla via del ritorno a Milano, leggero come solo la giovinezza ti può far sentire, ho acquistato patate, mele e tante fragole (il frutto prediletto di mia moglie). Nessuna fermata. Il desiderio di ritrovare gli affetti di casa è stato una potente calamita.
Viaggi recenti, brevi, con conferme interessanti: i luoghi dell’infanzia sono un rifugio dell’anima e l’amicizia disinteressata, quando esiste, è per sempre.
banzai43
Tag: amicizia, Castello Tesino, Casteltesino, ciclamini, esaltazione, fragole, funghi, giovinezza, montagne, passione, patate, Trentino, viaggio, viaggio dell'anima
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